lunedì 22 marzo 2010

Equinozio di primavera.

A me traslocare piace.
Contiene quelle tracce di fascino dal sapore di rituale iniziatico, la necessità ancestrale soddisfatta dai riti pagani degli equinozi.
Se ne può approfittare per fare una cernita degli oggetti da tenere e di quelli da lasciare indietro, destinati all'oblio del passato delle cose che non ci appartengono più.
Dalle dimensioni delle scatole se ne trae un sommario e simbolico bilancio degli anni trascorsi, dalla quantità di cose utili si ha un indice del lavoro fruttuoso, da quelle inutili un indice del tempo sprecato, da quelle andate perdute un indice degli errori, e dalla quantità di cose che hanno perso il grande valore che avevano si ha l'indice delle sconfitte.
La seconda selezione è affidata al fato, sarà utile per il tempo a venire, al momento del ricordo o della ricerca senza esito.
Quelle cose che avrebbero dovuto seguirti e che invece, rotte o perse, mancano l'appuntamento, meritavano davvero il rammarico o la sufficienza che hanno suscitato? È una sorta di divinazione, quell'innato e irrazionale bisogno che ha l'uomo di cercare segni della disposizione dei sassi o nel volo degli uccelli, quella testardaggine nel cercar spiegazioni dove semplicemente non esistono.
È l'eterna lotta del sangue tra nomadi e stanziali, l'adattabilità animale che vive in stabile instabilità.