martedì 12 settembre 2017

Analisi #458

Resta l'effimero la dimensione in cui ci muoviamo. Eppure non possiamo esimerci dall'eseguire il nostro programma essenziale, questa nostra vana e velleitaria lotta contro l'entropia.
Ciascuno nel proprio perimetro, con i nostri innumerevoli punti di vista, ci illudiamo di rompere l'isolamento lanciando fragili ponti, collidendo tra di noi casualmente.
Inconsapevoli criptografi, codifichiamo e decodifichiamo, sbagliando per la maggior parte delle volte, talvolta guardando dentro, talvolta guardando fuori.
Ciò che accade è mero contesto.
Ed ogni parola non dura che un istante.

domenica 27 agosto 2017

Torna a casa. Caga. Lavati. Dormi. Svegliati. Scrivi un curriculum vitae.

È ancora agosto, aspetta settembre che tutti tornano dalle ferie. Io non sono in ferie, mannaggia la miseria. Porta un curriculum vitae per un posto senza qualifica per il quale non è richiesta esperienza. Partecipa a un bando che entrerà a regime tra due anni. Parla con quello. Mantieni un alto profilo, mostrati intraprendente, fatti notare. Mantieni un basso profilo, non dare fastidio, non dare nell'occhio. Troppe esperienze, troppe esperienze sconnesse, troppo poche esperienze, nessuna qualifica. Mi serve un ragazzetto giovane, solo per qualche mese. Sei ancora giovane. Perché non finisci l'università? Non perdere tempo con l'università. Esprimiti. Scrivi bene, dovresti scrivere. Non esporti, la città è piccola. Ormai ti conoscono tutti. Non ti conosce nessuno. Fai conoscenze. Inserisciti. Fatti valere. Stai calmo. Ho saputo da un'amica che conosce uno che lavora lì. Non cercare scorciatoie. Mantieniti attivo. Non sprecare energie in attività senza scopo. Esci. Non stare sempre in giro.
Compra una birra dal kebabbaro e bevila in piazza. Sii sensibile verso l'eterno insoddisfatto che già ha tutto. Guarda cosa proiettano le persone sullo schermo dell'insieme di tutti gli inferni privati. Cambia canale. Sei indifferente. Sei troppo sensibile. Sei troppo empatico. Sei antisociale. Discuti dei problemi del mondo e dell'umanità. Sciroppati tutte le visioni e le soluzioni che senti, è la democrazia. Pensa a te. Sei egoista. Sei sempre distratto. Che ti frega della sensibilità di quello. Che ti frega dei problemi del mondo. Finisci la Peroni, torna a casa. Caga. Lavati. Dormi. Svegliati. Scrivi un curriculum vitae. Che hai fatto nella vita? Tanti errori, tanti errori, tanti errori. Tienitelo per te. La città è piccola.

lunedì 14 agosto 2017

La sparizione delle cicale

Nell'agosto del 2017, al centro della città, mancavano, misteriosamente e nel disinteresse generale, le cicale. Nel caldo della notte solo qualche grillo indefesso contendeva il silenzio agli innaffiatori automatici delle piazze. Le formiche avrebbero vinto per forfait e questa cosa, personalmente, non mi andava per niente a genio.

domenica 13 agosto 2017

Poche stelle, sempre quelle.

E la notte il cielo su questa città resta brutto, poche stelle, sempre quelle, e un bagliore sinistro artificiale, la testa buttata sulle spalle, la fronte arricciata, mentre butti giù l'ultimo sorso caldo di una Peroni grande, o mentre ti fanno un pompino che non finisce più, il tuo cazzo irritato che brucia, o mentre ascolti per l'ennesima volta le solite chiacchiere di chi ha visto il mondo e non ha mai parlato con nessuno. E poi è l'alba, la luce dietro questi monti troppo bassi, qualche colonna di fumo, e anche oggi farà caldo, fata morgana sull'asfalto stanco, all'automatico compri una marca di tabacco che non fumi abitualmente, la colla tiene insieme tutti gli aspetti di una esistenza, e il cielo su questa città resta brutto.

giovedì 29 giugno 2017

Rumori

Raccontarsi, raccontare di sé.
Parlarsi, parlare a sé.

Nello spazio della narrazione
tutta la nostra distanza.

sabato 24 giugno 2017

Piani sfalsati

Piani sfalsati
Incroci sghembi
Parlo piano
Insonnia tiranna
Costretto nello spazio
Sguardi specchi deformi
Esco, entro.
Piani sfalsati
Incroci onirici
Piano, forte
Poco importa
Altrove.
Fiori Auguri Ti saluto.

domenica 28 maggio 2017

Altri me

Tra le vite parallele troverai culi che ti ho mostrato, giochi di parole deboli e scurrilità, ambiguità forzose, tende da circo accademico, voi piccole scimmie curiose, il dio di Antonella rinnegato, tradimenti e uno su tutti, sangue e soccorsi con scarsità di uomini di combattenti e di neutrali in posizioni apparentemente inconciliabili, il centro della bocca di Anna Maria, tribunali supremi di guerra chiusi, colpi di scena deboli, passaggi criptici e il non può essere. Il pazzo furbo a volte defilato. Dolore e sconfitta. Nessuna redenzione.
Nessun finale. Ancora torturano animali.
Tra le intercapedini delle porte, prima o poi.

E tu, dov'eri? Dove sei?

lunedì 15 maggio 2017

Pensieri con dedica

E poi ci sono lettere che ho spedito con parole che non ricordo, e abitudini che ho perso, e forti sentimenti che non provo più, e modi di dire che ho smesso di usare, e speranze che vorrei ancora avere, e sorrisi ormai troppo timidi, e questa fitta trama di persone che somigliano a un qualche mio ricordo, custodi distratti di pensieri con dedica, lì fuori, da qualche parte.

sabato 13 maggio 2017

Risposte consuete

"Non parlare, parlami di te" a me, che di domande consuete non ne ho fatte mai e, anzi, qualche volta sono stato anche punito per l'imbarazzo suscitato dal mio ardire. Chiedevo per capire, ed ero giovane e irrequieto. Dopo qualche intuizione, chiedevo per irridere, ed ero giovane e insolente. Ora non chiedo più, ma non ho smesso nè di ascoltare nè di essere giovane, irrequieto e insolente.
Ma di cosa parli? Parli di te? In questo gioco di rimandi, non restituirmi le scorie di ciò che ti ha reso così.
Non ho smesso di ascoltare ma sento soltanto un rumore distante.
Non parlare, parlami del perché.

domenica 12 marzo 2017

Auricolari



Non risale che a pochi anni fa il mio rapporto con gli auricolari. Fu per la metropolitana. Eppure, volume al massimo, lo stridore dell'acciaio, il vociare della massa indistinta e i monòtoni annunci degli altoparlanti riuscivano a penetrare inesorabili: non puoi estraniarti dalla routine estraniante, primo comandamento delle grandi città.
Li indosso ancora, e spesso, ora che sono tornato nella mia provincia, prevedibile e rassicurante come una vacca pezzata che pascola in un prato verde alle spalle del polo chimico.
Cammino e penso frasi geniali, modestamente, che puntualmente dimentico non appena rincaso, giusto per accrescere la sterminata raccolta degli incipit del romanzo dell'oblio.

"Ma insomma, parlami di te."

"Ciao occhi chiari e naso sgraziato. Sono un naufrago della vita: se ho una storia non la so raccontare e il mio unico progetto è scoprire dove andrà a infrangersi la prossima onda. Sette anni fa consegnavo pizze a domicilio e il mostro marino dai mille tentacoli non dava mai la mancia. Lo facevo giusto due ore alla sera: di giorno scrivevo i canti per le sirene ma non ero retribuito. Ricordi l'affondamento della petroliera? Neanche questo fa parte della mia storia: erano i patti. Gli anni seguenti ho galleggiato, poi è giunta la confusione. E questo è quanto e mi dispiace non ho tempo: ho molte cose da lasciare incompiute ancora."

Rimetto gli auricolari e mi concentro sulle macchie di nicotina sulle mie dita: il mercato di contrabbando del tabacco in alto mare è ancora florido, c'è una leggera brezza, il sole tramonta ancora presto, la vacca pezzata fa letture interessanti ma non le comprende fino in fondo.

venerdì 10 marzo 2017

A gratis

Non c'era un tecnico della telepatia
all'incrocio che attraversavi seria
con il progetto più grande di te
di finire la giornata.
Ieri non l'ho mai capito:
raccoglievamo emozioni come bollini della spesa
e la nostra dispensa era vuota di ricordi,
la speranza un'abitudine una stupida dipendenza
pilloline rosa per curare l'assenza,
e mi spogliavo per prepararmi all'inverno
e compravi un'accetta per amarmi meglio.
E non ero chi ero
e non avevo mille euro,
chiuso fuori da ciò che ho dimenticato
posso iniziare mille discorsi diversi
con "ho sbagliato".

giovedì 9 marzo 2017

Non ti chiedi il perchè

Ti vedo affannarti da una vita intera e ora hai il tuo appartamento in un "buon quartiere": ci sono i marciapiedi, non come in periferia, ma non sono ben illuminati come al centro, e i cassonetti, e gli autobus, e le strade, e i parchi, e qualsiasi altra cosa non è mal messa come in periferia ma certo non è il centro; e perfino i tuoi vicini non ti spaventano come quelli che vivono in periferia ma non sono così socievoli, così avanzati, come in centro.
Non ti chiedi neanche più il perché sia così. Ti affanni e tieni duro.
Ma lotti, tutti i giorni sia chiaro, e ti interessi di politica internazionale, e hai un'opinione sul dibattito sui temi etici, e hai un'infarinatura di economia per parlare di pensione.
Ti affanni, dici che lotti, a Natale Babbo tredicesima ti farà un regalo, e non vivi né in centro né in periferia, e non ti chiedi il perché.

mercoledì 8 marzo 2017

Analisi #784

Si costruisce il consenso di soggettività esaltando peculiarità, in genere connotate da contenuto emotivo, isolandole dalla trama contestuale che, data la sua complessità, produrrebbe soggettività diverse.
Infine si confonde il consenso tra soggettività con l'oggettività.
Ne consegue una compromissione di analisi e giudizio che pervade ogni aspetto sociale fino alla relazione tra soggetti diversi.
Questo continuum (senso comune, pensiero unico) può poi produrre due o più polarizzazioni in apparente conflitto tra loro per sfuggire l'oppressione dell'omologazione palese.
Le restanti dinamiche si combattono su adattamento/disadattamento con ovvi risultati.

martedì 17 gennaio 2017

Analisi #324

Dall'involuzione sociale consegue l'involuzione dell'individuo. L'esperienza plasma, i principi si dimenticano. L'opposizione individuale, implicitamente variabile, è debole. L'individuo involuto non è in grado di organizzare opposizioni corali. L'idea di "individuo modello" è romantica e mal si adatta alla complessa variabilità interindividuale. Il "modello" stesso è semplificazione e si presta a falsificazione. Il mio stesso giudizio di merito involuzione/evoluzione merita approfondimenti. La complessa rete di interazioni è il determinante dei cambiamenti: nel suo complesso sfugge all'osservazione, ma con approssimazione può essere schematizzata la rete di interazione individuo-altri. Un lavoro straordinario può modificare a questo livello il singolo individuo portandolo a un cambiamento: è comunque una modifica apportata dalla società all'individuo. In uno scenario paradossale, una società che vuole modificarsi potrebbe agire in modo corale su ogni singolo individuo modificando così se stessa come insieme di individui. In uno scenario concreto, un individuo straordinario può agire sul suo insieme di interazioni. La straordinarietà consiste nel non farsi modificare e implica la presunzione di essere nel giusto. Come può l'individuo ordinario modificare l'ambiente? O, ponendolo come obiettivo minimo, come può l'individuo ordinario non farsi modificare da un ambiente sfavorevole?

domenica 20 novembre 2016

O se

Si nota di più se indosso i guanti
O se fumo sessanta sigarette?
È più pericoloso se guido senza cintura
O se la mattina compio il mio dovere con tre ore di sonno?
È peggio se gioco con i tuoi sentimenti
O con i miei?

sabato 12 novembre 2016

Giorni, fisso un dolore al petto

Giorni, fisso un dolore al petto:
mai avuto paura della fine.
Da anni osservo i vostri fascismi avanzare
e il vostro stupido umorismo.
Mi aggiro di notte barcollando,
severo e altero alla mattina,
soffoco nel vuoto che vi riempie.
I pupazzi che temete,
le marionette che vi manovrano,
non popolano i miei incubi,
ma la mia ferocia e la mia stupidità.
Stanco di odiarvi
la vostra rabbia mal riposta
la mia cieca insistenza
la guerra sui marciapiedi
l'indifferenza cordiale
l'amore efficiente
il futuro che vi ossessiona
e non avrete mai ciò che bramate.
Non sono fiero:
ciò che ho visto non è la fine del mondo
ma solo il buio di un piccolo abisso.

domenica 6 novembre 2016

Chi siete voi?

Chi siete voi?
Che sotto la pioggia, leggera, poi battente, poi incessante e poi di nuovo leggera, cercate un riparo?
Chi siete voi?
Che parlate dell'intimità come consigli per gli acquisti?
Voi, che fremete per le mie dita sulla vostra pelle?
Voi, senza bisogni, con troppi bisogni?
Voi, con i vostri istanti eterni?
Voi, con il vostro amore fino al terzo rintocco?
Voi, che non sapete dove siete e mi chiedete dove vado?
Chi siete voi?
E come osate popolare i miei ricordi?

mercoledì 2 novembre 2016

Parafrasi e omaggio (Analisi #356)

Oggi in Italia non esiste una vera opposizione al Potere, se non piccoli e deboli gruppi che non solo non rappresentano alcuna preoccupazione per il Potere stesso, ma troppo spesso colpiscono un po' a casaccio, perché non hanno memoria.
Chi nel passato ha condiviso il potere con il Potere è stato premiato per il "senso dello stato" dimostrato. Qualche nome è stato fatto e in definitiva si è compiuto il vero Colpo di Stato.
Non siamo più eredi di nessuno, neanche di chi non era già più erede di nessuno e avrebbe voluto ricominciare da capo, senza riuscirci, come non ci riusciamo noi.
Noi non sappiamo. Non solo perché la ricostruzione di ciò che avviene intorno a noi è più ardua che nel passato, non solo perché di interventi giornalisti e politici degni di attenzione se ne trovano sempre meno.
Non non sappiamo, non solo perché ci è venuta sempre meno l'abilità di coordinare fatti anche lontani e di mettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, ma soprattutto perché abbiamo svenduto la nostra volontà di sapere.
Fino a quando continueremo ad autocondannarci all'ignavia, possiamo soltanto continuare a riperterci quanto ci dispiace e a venerare le nostre icone totemiche, uccidendole ogni volta un'altra volta o al più, come io adesso, possiamo abusare di parole in avanzato stato di decomposizione, riconoscibili solo dai parenti più stretti.

mercoledì 26 ottobre 2016

Troppo poco

Sottometti o sottomettiti: non esistono altre relazioni possibili con gli altri individui del "branco". Tienilo sempre presente ma non ammetterlo mai.
Lo senti questo fastidio che provi di fronte a questa affermazione? Custodiscilo, nutrilo. È funzionale.
Per diversi motivi.
Innanzitutto: è paura. Sai benissimo di non essere l'individuo più forte del branco. Qualcuno ti sottometterà. Qualcuno ti ha già sottomesso. A te questo non piace e ti piace ancor meno ammetterlo. L'insicurezza genera altra insicurezza e la paura genera altra paura. Un continuo stato d'allerta peggiora la tua vita. L'illusione è una comoda soluzione. Non fartene privare.
Inoltre: la senti la conflittualità che provi verso di me in questo momento?
È perché sono deviante rispetto ai valori di riferimento condivisi dal tuo branco. Additami. Richiama l'attenzione del tuo branco su di me. Tanto più l'attenzione del tuo branco sarà rivolta verso l'altro, il diverso, tanto più sarai al sicuro dalla violenza che gli individui del tuo branco potrebbero rivolgere su di te.
Continua a invocare la solidarietà: un giorno potresti averne bisogno. Un giorno il branco potrebbe avere bisogno di te. Sii utile: se non lo sei, sei inutile, è semplice da capire.
L'amore allora? Sono sicuro che ami qualcuno o qualcosa. Tutti amano qualcuno o qualcosa. Non c'è niente di giusto o sbagliato in ciò.
Ne hai semplicemente bisogno.
Finché ne hai bisogno.

martedì 6 settembre 2016

Un addio

Se ogni volta che ho sofferto
avessi pianto anziché urlare
allora avresti potuto dormire tranquilla
in una nuova palude.
Ma se ogni volta avessi anteposto
la mia disapprovazione alla comprensione di te
allora adesso non avrei alcun motivo
per allagare la mia terra.
E se diecimila minuti non sono bastati
questa telefonata puoi ancora addebitarla a me.
E una parola scritta male
può restare,
annegare in un fiume di inchiostro,
o essere abrasa.
I fogli di carta e la vita
muoiono di inedia se restano bianchi
e poi ingialliscono.

lunedì 5 settembre 2016

Nessun tremore

Insomma, questa storia non ha un inizio. Se non ha un inizio, mi ripeto da anni, allora non c'è neanche un motivo per raccontarla. Questa notte la terra non ha nemmeno tremato e, nonostante tutti i miei sforzi, i passi sono certi. Talmente certi che - qualcuno di voi mi avrà sentito - passeggio per il centro fischiettando un motivo triste alle quattro del mattino. L'architettura razionalista mi lascia immaginare una polizia fascista che senza motivo mi ferma nel cuore della notte ed io candidamente rispondo: "No agente, non è ubriachezza molesta. Sono io che sono molesto. Si tratta di personalità molesta e mi pare che non sia reato, neanche per il regime fascista. Ecco, magari non piace, ma in fondo, mica vi sto corteggiando". E nel fiume dei pensieri si mischiano tutte queste parole già dette, che non so più se sto citando qualcuno oppure se cito me stesso che come un rincoglionito racconto sempre la stessa storia. Ormai è da tempo che soggiorno proprio ai margini della tempesta, qui in alto mare, e guardo le traversate altrui svolgersi. Non per davvero, dico, lo sapete, abito nel cuore di questa città, dove il moderno è già antico e il resto è fuori luogo. Fischietto anche motivi tristi nel cuore della notte, difatti. Qui ai margini della tempesta, alle volte, do indicazioni ai passanti, ma solo se sono dell'umore giusto, altrimenti lascio che si arrangino. Per quelli che vogliono arrivare a riva indico di là. Per quelli che, per chissà per quale motivo, vogliono entrare nel centro della tempesta, indico di là. A volte da lontano vedo impotente un naufragio e penso ma quanto sono fortunato a stare qui, in alto mare, ai margini della tempesta, pensa che sfiga naufragare. Non fermo quasi mai nessuno. Ma quasi mai non significa niente, e infatti non sono quasi mai stato solo, in alto mare, al bordo di questa tempesta, eppure sono sempre rimasto solo.
E allora cammino per un altro quarto di questa circonvallazione. Il motivetto, poi, non è così triste. Più nostalgico, direi.
Magari fischietto piano che tu dormi e forse non te ne frega niente.

mercoledì 24 agosto 2016

Tremore

La serratura scatta due volte, fa troppo rumore per quest'ora, e quest'ora non è un'ora che puoi permetterti. Entri in casa, svuoti le tasche. Ancora troppo rumore, il mobile trema. Ma non sei tu, incerto sui tuoi passi, passi che puoi aspettarti quando le ore si fanno piccole, che poi, chissà quali sono le ore grandi, forse le ore non diventano mai grandi, proprio come te. Trema tutto, insieme al rumore, forse non sei tu, è un terremoto, maledetto terremoto, a quest'ora, che vorresti dormire. Allora resti lì, interdetto o intontito o qualsiasi altra cosa la gente decida che tu stia facendo, in piedi, appena entrato in casa, pronto a calare le braghe. È tutto finito, è stato un attimo, come un illusione, come quando mezz'ora prima abbracciavi una sconosciuta e immaginavi una storia d'amore di poche ore o di tutta la vita, si vedrà, ma poi arriva lui, che la tiene per mano. Ti siedi, sconsolato. Prendi l'apparecchio tipico degli anni dieci, vedi che succede. È successo a Roma, è successo a Rieti. Roba grossa. Forse qualcuno è morto. Domani si saprà. E scrivi, senza memoria, senza coscienza, con strani movimenti del pollice. La terra ha tremato, si potrebbe morire, ma non succederà, non stanotte, nonostante numerosi allarmi risuonino nel buio. Ti siedi, magari accendi una sigaretta se, come me, hai questo vizio maledetto, e lasci passare. Lasci passare i pensieri e prima che te ne accorga hai già dimenticato il tremore. Cosa hai fatto questa notte? Io ero a un concerto. Per venti minuti sono stato sotto il palco. Il muro del suono si avverte fisicamente. Lì sopra, musicisti che danno se stessi. Intorno a me ragazzi nati vent'anni fa coinvolti emotivamente, in una danza di trance, come ero io, vent'anni fa, sotto un palco. Ma a me proprio non piace questa musica. No. Molto meglio vent'anni fa. Ma magari ero io. O chissà. Alla fine la scossa più forte, stanotte, è stata un terremoto. Ma forse, quest'ora, non era un'ora che non potevo permettermi, era solo un'illusione. Era questo scritto che non potevo permettermi.

lunedì 30 maggio 2016

Elezioni

Domenica. Era soltanto ieri.
Leggero mal di testa d'ordinanza, umore irritabile, noia, caldo, una vaga sensazione di estraniamento dalla contemporaneità.
E' tardo pomeriggio quando esco di casa con le solite domande esistenziali come chi sono, dove vado, perchè tra la mia barba nascono e crescono peli bianchi, dove cambio questi venti euro per comprare le sigarette all'automatico.
Arrivo in piazza e tra la folla vedo jeep militari, uomini in alta uniforme e un caccia parcheggiato sotto al comune. Per qualche secondo spero che l'aeronautica abbia occupato la città. Si tratta invece solo dell'esibizione delle frecce tricolori.
In realtà sono quelli che distribuiscono volantini elettorali che si apprestano a conquistare il potere.
Più in là, appena fuori dal centro, c'è un bar che fa angolo. Un "Ciao Marco!" interrompe il mio girovagare. Saluti, strette di mano, un paio di frasi di circostanza e poi mi chiede: "Ma perchè la sinistra quest'anno non si presenta?"
Sarà la decima volta che mi sento rivolgere questa domanda in questi giorni.
Essenzialmente non lo so. Tutte le volte mi sento in imbarazzo. Anche perchè poi potreste chiedermi "ma come mai non ti interessi più?" e non ho voglia di darvi una risposta che sarebbe lunga, personale e, sinceramente, confusa. Comunque i peli bianchi della mia barba non c'entrano.
Di positivo c'è che finalmente abbiamo la soluzione al dilemma di Nanni Moretti: ci si nota di più se non andiamo, piuttosto che se andiamo e ci mettiamo in disparte.
Farfuglio qualcosa che non ricordo neanche e svicolo velocemente con "E tu invece? Non ho visto in giro tuoi manifesti, non ti candidi?"
"Certo!" mi fa lui "Mi candido con..."
Mille flashback attraversano la mia testa tutti insieme. La mimica facciale è fuori controllo.
Ripenso a qualche sera prima, dopo la seconda birra, scherzavo con qualche amico dicendo che se avessi avuto 16 anni sarei andato in giro per la città tutta la notte con un pennarello, a mettere un bel punto interrogativo dopo il nome di un partito che si presenta alle elezioni con serie chance di vittoria.
Perchè, seriamente ragazzi, ma che c'entriamo noi?
Noi, nati e cresciuti 70 km a sud di Roma ladrona?
Noi, con Salvini?
Quasi mi avesse letto nel pensiero, inizia la più classica delle excusatio non petita: "Tu mi conosci, io non sono mai stato leghista e mai lo sarò ma..."
Roba da non crederci, mi sta imbastendo un'analisi politica, e sembra convinto davvero.
Si, hai ragione, io ti conosco, facevi le elementari nella mia stessa scuola, abitavi dall'altra parte del mio marciapiede, hai parenti che parlano qualcosa che assomiglia al napoletano, quando eri adolescente attaccavi manifesti per il fronte della gioventù e io aspettavo che tu e i tuoi camerati ve ne andaste per staccarveli.
Non è difficile capire come ci sei arrivato a Salvini, ma io resto comunque senza parole.
Infatti non dico niente, ascolto il lungo pistolotto, pesco nell'armamentario delle frasi di circostanza quelle più adatte a congedarmi e vado via.
Prima però mi faccio dare un santino, voglio un ricordo di questo incontro.
Sopra c'è scritto qualcosa su gli "antichi valori". Deve far riferimento all'antica tradizione leghista di Latina, probabilmente.
Torno verso casa mia, sovrappensiero.
C'è qualcosa di peggio dei peli bianchi della barba.
Chissà da dove nasce questa esigenza di importare fascisti padani a Latina.
I fascisti nostrani non ci bastavano più?
Nessuno usa uno slogan tipo "fascisti a casa nostra"? A questo punto capirei, davvero.
Continuo a sperare in un golpe dell'aeronautica. Per fortuna domani è lunedì.

giovedì 19 maggio 2016

Pionieri

State attenti a girare di notte per le Case Popolari, potreste incontrare un pioniere.
E' quello che mi è successo proprio stanotte.
Protesa dalla sua finestra a piano terra, un'anziana signora, non ancora centenaria ma in procinto di diventarlo, mi chiama insistentemente scambiandomi per un non ben precisato "guardiano".
Conosco la signora, e la signora conosce me da quando sono nato. Escludendo i miei parenti, chi sono le persone che mi conoscono fin da quando sono nato? E' da ieri notte che me lo chiedo, non riesco a farne un elenco. Forse è rimasta solo lei.
La verità, che come spesso accade non è poetica, è che "noi bambini di 30 anni fa" ricordiamo bene la signora: ogni volta che giocavamo, fosse a pallone, fosse a nascondino, fosse a campana, fosse a un due tre stella, lei si affacciava alla finestra, protesa proprio come stanotte, e ci cacciava via. Le davano fastidio le nostre grida. Della signora so anche che ha uno di quei cognomi che finiscono con "-in", a ricordo delle sue origini venete, e che vive sola da molti molti anni.
La signora è molto agitata, mi avvicino per capire cosa le succede. Nel suo mondo ormai immaginario, due bambini sono entrati in casa sua e si sono addormentati nel suo letto. Lei è molto preoccupata, non solo perché "il padre li starà cercando", ma anche perché "qui dormono tutti, solo io non riesco a dormire".
La signora inizia a parlare, mescolando insieme visioni e ricordi. "Sono qui a Latina dal '32, sai?"
Resto una buona mezzora sotto la sua finestra a sentirla. Non so se ha parenti, figuriamoci se so come rintracciarli. Nessun altro vicino interviene. Comincio a valutare l'ipotesi di chiamare il 118.
Una cosa è sicura: la signora non può restare affacciata alla finestra a piano terra, nel cuore della notte, a chiamare immaginari guardiani che l'aiutino.
A me capita di rincasare tardi, di solito di notte alle case popolari non si incontra nessuno per strada, se non qualche alcolizzato. Ultimamente sono comparsi gli eroinomani: sono una presenza nuova nel quartiere, per quanto strano possa sembrare a chi abita nei quartieri migliori, finora qui i tossici non giravano, li abbiamo scampati nei terribili anni '80 e invece sono comparsi proprio ora, nel 2016. Giusto da qualche mese.
Di solito non si incontrano pionieri notte tempo al nicolosi. Stanotte mi è andata bene. E anche alla signora, direi.
Alla fine riesco a convincere la signora a rientrare in casa: ho telefonato al padre dei bambini, sta arrivando a prenderli, non appena arriva suonerà al citofono, "è meglio che sta dentro signora, è umido". Rientra, resto una decina di minuti nei pressi per accertarmi che non torni fuori.
Sono ancora preoccupato, non mi è bastato accertarmi che stamattina la signora stesse bene.
Ho 37 anni, sono nato a Latina da due genitori nati a Latina, e non conosco nessun altro latinense figlio di due latinensi. Forse tra i bimbi dell'asilo ce ne sarà finalmente qualcuno, non lo so.
Per quanto ne so, sono l'unico latinense "purosangue".
Strano che un latinense purosangue sia comunista.
Del resto è strano che una città che dice di essere così attaccata alle sue recentissime origini lasci l'unico quartiere davvero storico della città nel più totale degrado.
E in questi giorni in cui ognuno espone la sua visione di Latina, sicuramente qualcuno avrà preparato un intenso discorso intriso di retorica sui pionieri e sui padri fondatori di questa città.
Tranquilli, tengo d'occhio io la signora.

lunedì 19 marzo 2012

Tor Fazione

Non sai perché ma ripensi a quei 4 ragazzi di borgata che chiamavano il rudere torrefazione, perché quando erano piccoli andavano a farsi le canne lì dentro e quindi erano torre-fatti, e ridevano come se fosse la migliore battuta del mondo. Poi nella torre ci sono andati a dormire dei senegalesi e per questo loro sono razzisti. E sempre senza sapere un perché, pensi che ci siano delle riflessioni profonde in questo ricordo, ma che non vale la pena perderci tempo. Poi ti vengono in mente le maschere del teatro greco e pensi che la gente fa solo delle scelte estetiche quando decide che vita interpretare, e che i ruoli per il dramma sono così limitati che vittima o carnefice è solo l'attimo di rispondere all'appello e poi si va in scena. Il rudere, comunque, resta molto bello.

mercoledì 14 marzo 2012

Con il sorriso senza motivo

Non so se hai presente quando capitano quei mesi di gennaio piovosi, che sembra che piove sempre e che anche se non piove lo sai che tra poco pioverà, e allora stiamo a casa tutte le sere, vediamo un film, o facciamo quei lunghi discorsi inconcludenti, tristi ma solo un po', oppure facciamo l'amore per tutta la sera che sembra che tutto il mondo sia solo la camera da letto? Ecco. Poi viene febbraio, che non piove, ma fa freddo, molto freddo. Rigido, dicono. Che poi io questa cosa del rigido mica l'ho mai capita. Rigido può essere una sbarra d'acciaio. O un'erezione, nelle migliori delle ipotesi. Ma il clima, com'è che è rigido? Allora, se febbraio è rigido, agosto è molle? Sì, con tutta quell'umidità, da un po' la sensazione di molliccio, ma perché nessuno dice mai "che agosto molle, quest'anno!"? Non lo so, ma non è importante. E allora ci sono questi febbrai freddi, rigidi appunto, e poi, a un certo punto, a volte il 20, a volte il 22, a volte addirittura il 16, capitano quelle giornate improvvise di sole, che la gente fa "guarda, sembra primavera!" e ancora ti fa "dai usciamo c'è il sole!" e aggiunge che mica te ne vorrai stare a casa a farti i cazzi tuoi, c'è il sole. Sarà, ma mi ricordo una volta, andavo a scuola, gliel'ho detto al prof, mica sono stato a casa a fare i compiti, c'era il sole, ma lui non l'ha presa bene, non so, per il resto del mondo se è febbraio e c'è il sole proprio non ci puoi stare a casa ma per lui no, valla a capire tu la gente, che io, poi, alla fine son diventato un po' come quel mio professore. E vabbè, allora esci, vai in centro, si va in centro quando c'è il sole a febbraio, e vedi tutta questa gente senza sciarpa, i più temerari hanno pure un maglioncino leggero. E sono tutti di buon umore, così, senza motivo, o meglio, il motivo è che c'è il sole e che nessuno se l'aspettava. Io, invece, sono inquieto. Mi domando sempre dov'è la fregatura. Perché questa giornata di sole improvvisa? Succederà qualcosa, lo so. Ho la sensazione di catastrofe imminente. Un terremoto, un uragano, una pioggia di meteoriti. Perché se io fossi, che so, il destino, il regista dell'universo, farei così: una giornata di sole improvvisa e poi la fine del mondo. Così la gente muore col sorriso, ma con il sorriso senza motivo. Poi, il sole tramonta presto, è febbraio, e non è successo niente. Tutti tornano a casa e anch'io torno a casa, da solo. Torno a casa e mi sento sollevato. Mi sento sollevato e penso speriamo che domani piova.

lunedì 12 marzo 2012

Provincia parallela

Ad esempio, poi, c'è quel tipo, quello alto, biondastro, capelli lunghi. Tre anni fa non esisteva, o almeno io non l'avevo mai incontrato, e quindi non esisteva. Poi, da allora, ogni volta che torno in provincia, lo incontro. Vedo con più costanza lui che i miei amici più cari. È sempre al bancone di un qualche locale che frequento, scola una birra dietro l'altra e questo, di solito, basta a farmi simpatia, ma con lui no, non so perché, saranno i capelli biondi, o il tono della voce. In questi tre anni mi è capitato spesso di parlargli e due o tre sere ci siamo sbronzati insieme. Di lui so che conosce molte persone che anch'io conosco e che ha una sorella, piccola ma maggiorenne, che lui dice essere molto carina e un po' troia, della quale è molto geloso e a volte, dice, può diventare anche violento. Ma non ho la più pallida idea di chi sia, la sorella. Anche perché proprio non riesco a imparare come si chiama, lui, non la sorella. Se devo indicarlo, è quello biondastro, grosso, seduto al bancone, spesso ubriaco, soprattutto dopo mezzanotte. E la gente, in genere, capisce. O al più si confonde con qualcun'altro di quelli seduti al bancone, spesso ubriachi. Ma non è importante: l'arredamento, seppur parlante, è sempre arredamento, e distinguere tra due sgabelli non cambia poi molto il succo del discorso. Io so di non avergli mai detto un cazzo di me: al massimo due chiacchiere sul gruppo che aveva appena finito di suonare, oppure il disappunto per il mio cocktail fatto davvero troppo male questa volta. Ma lui sa come mi chiamo, sa chi frequento, sa che non ho sorelle troie che può scoparsi. È perfino convinto di sapere come la penso su questo argomento o su quell'altro. In poche parole: lui ha un'opinione su di me. Pensavo che questo è fantastico. In provincia è del tutto superfluo essere riservato. Le persone si tramandano convinzioni infondate e questo risparmia molte seccature: non serve costruirsi vite parallele, ma basta osservare nello specchio degli occhi altrui il modo in cui si viene percepiti e cercare di non contraddire mai quella identità che è stata attribuita. Non serve alcuna coerenza né nelle parole né nelle azioni: la provincia è come un costante fluire d'acqua che leviga ogni spigolatura. Quando non ho proprio un cazzo da fare cerco di capire la genesi di queste convinzioni. Qualche volta ci riesco e questo, in genere, mi provoca degli ampli sorrisi.

sabato 10 dicembre 2011

Ezechiele codamozza


Succede che apro l'armadio e vedo quattro pantaloni neri, tre maglioni neri, canottiere nere, mutande nere, calzini neri e allora mi dico cazzo è il caso di andare a comprare qualcosa di colorato. Poi giro due o tre negozi, provo decine di pantaloni e ne acquisto uno nero.
E allora basta, dichiaro completato il mio guardaroba e si fottano i colori.

E sì, è sabato pomeriggio, vado a fare la spesa, con il mio pantalone nero, il mio maglione nero, il mio cappotto nero, la mia sciarpa nera. Sono così stonato. Ci sono panettoni, pandori, torroni, noci, spumante. Anche il mio storico hard discount per immigrati est-europei è così natalizio, così festoso. Il mio carrello pare sempre avere un'aria dimessa. Credo che sia per questo che ho iniziato a comprare vino, a scopo decorativo.

Già, bere vino a tavola è una cosa così conservatrice, ma intravvedo il senso dell'ammonimento che invita a non fidarsi di un uomo che non beve a cena. È importante riannodare i fili di tradizioni millenarie. Penso alle centinaia di avi contadini che nello scorrere dei secoli tornavano a casa dai campi cercando consolazione in un bicchiere di rosso e nelle braccia di una donna troppo madre. Ricordiamoci di ringraziare i nostri monaci, ricordiamoci di ringraziare i nostri guerrieri, ma il nostro sangue e il nostro vino appartiene inesorabilmente ai padri di famiglia. Però, merda, vorrei soltanto essere lo zio di qualcuno. C'è qualcosa che non funziona.

È sabato pomeriggio, esaurisco la routine e vorrei essere altrove, come tutti i sabati pomeriggio. Non importa dove io sia, vorrei comunque essere altrove. Ho tante case e le amo tutte, maledizione a me che mi affeziono così facilmente ai pali della luce, alle cabine telefoniche e ai cassonetti dell'immondizia. E io, si sa, quando mi affeziono, scappo via.

Lei l'altra sera mi dice sì, hai nove vite come un gatto, ma le vivi tutte insieme e neanche una. A me di lei non frega un cazzo, ma credo abbia ragione, si, credo che abbia ragione anche questa volta. Allora amore scusami se non ti chiamerò per i prossimi due o tre anni, ti penserò sempre.

Il senso, in fondo, non è finire il solitario per avere tutte le carte in ordine. Il senso è mescolare il mazzo. Ma probabilmente, mi sbaglio, si, credo che mi sbaglio anche questa volta.

martedì 7 giugno 2011

L'officiante inopportuno

Costretto, nella schiera degli inquieti non sono che l'ultimo.

Le ortiche sui miei talenti insoddisfacenti nascondono un repertorio di frustrazioni comunicative.

Non c'è conforto nei falò della memoria, non c'è rifugio nel senso comune, non c'è calore nella disciplina.

Se solo potessi tacere un istante.

lunedì 5 aprile 2010

Cinquequattrodieci.

Vento. Vento in poppa.
Vento e freddo.
Vento che porta.
Raffiche di vento.
Vento. Vele al vento.
A tutto vento.
Vento e aria, castelli in aria, gettati al vento.
Ancora, vento.
Stento, canto, sussulto
e prevedo il tempo.

lunedì 22 marzo 2010

Equinozio di primavera.

A me traslocare piace.
Contiene quelle tracce di fascino dal sapore di rituale iniziatico, la necessità ancestrale soddisfatta dai riti pagani degli equinozi.
Se ne può approfittare per fare una cernita degli oggetti da tenere e di quelli da lasciare indietro, destinati all'oblio del passato delle cose che non ci appartengono più.
Dalle dimensioni delle scatole se ne trae un sommario e simbolico bilancio degli anni trascorsi, dalla quantità di cose utili si ha un indice del lavoro fruttuoso, da quelle inutili un indice del tempo sprecato, da quelle andate perdute un indice degli errori, e dalla quantità di cose che hanno perso il grande valore che avevano si ha l'indice delle sconfitte.
La seconda selezione è affidata al fato, sarà utile per il tempo a venire, al momento del ricordo o della ricerca senza esito.
Quelle cose che avrebbero dovuto seguirti e che invece, rotte o perse, mancano l'appuntamento, meritavano davvero il rammarico o la sufficienza che hanno suscitato? È una sorta di divinazione, quell'innato e irrazionale bisogno che ha l'uomo di cercare segni della disposizione dei sassi o nel volo degli uccelli, quella testardaggine nel cercar spiegazioni dove semplicemente non esistono.
È l'eterna lotta del sangue tra nomadi e stanziali, l'adattabilità animale che vive in stabile instabilità.

venerdì 25 dicembre 2009

Città Natale

Se sei un non credente ed hai una famiglia atomizzata, Natale rappresenta solo un lungo week-end noioso.
Si dice che le persone sole a Natale si sentano tristi. Non credo che durante l'anno se la passino meglio, le persone sole. Personalmente Natale mi rende solo un po' più beffardo, un piccolo bastardo cinico e sarcastico. Mi siedo, mi metto a lavorare su quelle due o tre cosette arretrate che ho da fare, lascio in sottofondo l'audio di non so quale cartone animato, bevo un altro caffè.
Ho finito le sigarette. Chiudo ogni bottone del cappotto, indosso i guanti. Ne approfitto per fare due passi, scelgo un distributore automatico abbastanza lontano. Escluso me, nessun pedone per la strada. Automobili, in numero crescente all'avvicinarsi del centro. Poi, in piazza del Popolo, costretti in un recinto inesistente, tutti, ma proprio tutti i pedoni circolanti per Latina, ciondolanti in gruppi familiari a far nulla, a guardare gli stessi identici presepi meccanici di ogni anno, a vantarsi, lamentandosene, dei cospicui pasti consumati.
Latina, in fondo, non è una città brutta. E' soltanto una città incapace di suscitare qualsiasi sentimento. Anche gli abitanti di Latina, presi singolarmente, sono persone fantastiche, ciascuno caratterizzato da un qualche particolare che neanche il più abile scrittore avrebbe saputo far di meglio. E' nel loro agire collettivo, o meglio, nel loro inagire collettivo, che i latinensi sono catastrofici. Gente che s'accontenterebbe di un semaforo, perfino lampeggiante!, per passare il tempo.
Con la stessa rapidità con la quale ne sono entrato, esco dal centro, ritrovandomi sul lato opposto della circonferenza d'asfalto che racchiude la "vecchia" Latina. I negozi son tutti chiusi, tranne i venditori di kebab. Mi proietto tra qualche anno, quando la mia voglia di cucinare sarà inesistente, e vedo che il kebab sarà il mio tradizionale pranzo natalizio, consumato in fretta tra algerini e tunisini. Ripensandoci, forse toccherà sposarmi. Al terzo che incontro aperto, entro. Niente birra? Gli unici negozi aperti senza contravvenire ad un precetto religioso, non vendono alcol per non contravvenire ad un precetto religioso. Sarà che dio è l'oppio dei popoli, ma non mi pare un buon motivo per condannare un ateo a restare sobrio. Prendo una Coca Cola e guardo gli avventori del negozio, gli unici incontrati finora che, a parte me, si comportano come se oggi fosse un giorno come tanti altri. Mi sento ancor di più estraneo. Estraneo sia alla cultura dei miei padri e delle mie madri, sia alla cultura di questi nuovi gruppi. Mi sento fomentato da uno spirito pionieristico, o almeno così mi dico per consolarmi dalla paura dell'essere un uomo senza tradizioni. Esco, il distributore è vicino, sento la strana sensazione di essere un turista nella mia città natale, a Natale. Al distributore ci sono due ragazzetti, evidentemente minorenni. Ingaggiano una misteriosa lotta con la macchina, che dura interminabili minuti, mentre io attendo poco dietro, spazientito. Li avrei aiutati, se fossero stati maggiorenni. Per un momento ho anche pensato di intervenire cercando di vietargli di comprare le sigarette, ma non ho trovato un motivo convincente per farlo. Ho iniziato a fumare a 13 anni, ognuno deve compiere i propri sbagli. Finalmente vanno via, prendo il mio pacchetto di veleno e mi rincammino verso casa.
Ogni scorcio, ogni angolo, ogni via, ogni palazzo che incontro mi è strettamente familiare. In ogni luogo ho legato un ricordo, anche il più insignificante. Lì ho conosciuto una persona, ho parlato con lei per un paio d'ore, davvero un personaggio interessante. Non l'ho mai più vista, saranno passati un paio d'anni, non ricordo neanche il suo nome. Lì mi son sbucciato un ginocchio cascando dalla bicicletta, facevo o la prima o la seconda elementare, sarò ad almeno un paio di chilometri da casa, mi ero allontanato davvero un bel po' per i gusti di mia madre e se qualcuno glielo avesse riferito, chissà gli strilli.
Dovrei amare questi luoghi, invece ora mi sembrano pressappoco una scenografia. Da ragazzo ero stupidamente affascinato dalla condizione degli apolidi, intravvedendone un non so che di avventuroso. Ero troppo incosciente per capire la sofferenza interiore di chi sa di non appartere a nessun posto.
Sono già nel mio quartiere, passo davanti a quella che era la mia parrocchia. E' davvero brutta, e quel Cristo dorato che hanno eretto qualche anno fa riesce perfino a peggiorarla.
Queste case gialle qui, queste sento che siano la cosa più vicina ad esser considerata "casa". Quando sono nato, era pieno di vecchie. Le chiamavamo così, non anziane, non persone di una certa età, ma vecchie, eppure gli portavamo tutti un gran rispetto, specie noi bambini. Nessuna delle vecchie era nata qui. Ora quelle vecchie sono quasi tutte morte, quei bambini cresciuti e andati via. Qui vivono altre persone, anche loro non sono nate qui. Mi sento a casa in un luogo dove nessuno si sente a casa.
Getto la sigaretta ed entro nel portone.

lunedì 20 aprile 2009

Vacuo

Vacuo, torna, somigliante a sé
spazza bufera illusioni
fischia vento verità negate
e consuma lento braci.
Perpetua intermittenza
sovrasta, lacera, sbrana.
Né sento, né vedo. So.
Come posso, dove posso. Sto.
Vacuo, passa, somigliava a me.

sabato 11 aprile 2009

Messaggi privati

Amante, amica, compagna,
moglie estranea e non madre,
ora sorella nemica,
fonte di ossimori e sorgente pleonastica:
coltivo con cura il tuo ricordo,
custodisco una lama affilata,
emargino ferite e attendo.

giovedì 9 aprile 2009

Cinque minuti

Il vecchio pazzo bussa a una porta e non apre: ha perso le chiavi,
intorno allo stagno passeggiano in fila turisti del passato,
l'ubriaca non sa tornare a casa e progetta viaggi su Alpha Centauri,
il cieco innamorato colleziona chilometri, gli manca un pezzo che non trova,
il ribelle conquista palazzi di carta, le sue truppe bollate gli sono fedeli,
l'amante punta dritta al paradiso, la strada tortuosa le par leggera,
la santa profetizza disgrazie: ha ragione la metà delle volte.
Il mio cane fiuta tracce, abbaia alla luna, ringhia alle ombre,
scodinzola per un nonnulla mentre l'estranea sorride e va via.

domenica 29 marzo 2009

In questo tempo sconosciuto...

Credo nel valore supremo della bellezza, al di sopra d'ogni cosa, della giustizia, della ragione, del dovere, dell'opportunità. A lei m'affido in questa tempesta, in questa notte senza stelle, senza meta né rotta.

E m'allontano, veloce che sembro fuggire, dall'insulto ad una bellezza così grande che, a ricordarla candida e vera, muoio e muoio ancora, che non so stare nelle macerie fumanti di un dopoguerra devastante.

E m'avvicino, veloce che sembro precipitare, laddove scorgo una bellezza così grande che potrebbe sembrare un miraggio di sirena, eppure così sincera e pura che vivo e che voglio vivere ancora, che non so sottrarmi all'inesorabilità dei sentimenti.

E intorno a me,
cambiano le stagioni,
e mi lascio guidare.

venerdì 9 gennaio 2009

Musa, quell'uom...

Capita talvolta, per circostanze impreviste e imprevedibili, che ogni sensazione appaia più nitida al punto tale da dover ridefinire nel proprio vocabolario personale termini quali gioia e dolore, tristezza e allegria, vergogna e orgoglio, coraggio e paura, come se mai fossero state provate prima di allora.
Appare improvvisamente chiaro che per compiere gesti apparentemente banali e tutt'altro che eclatanti occorra un eroismo inenarrabile. Piccole gesta che farebbero tremare le quattro vene dei polsi ai miti statuari.
A volte venti maligni ci spingono via lontano e dispersi proprio quando la meta sembrava avvicinarsi e il lungo viaggio assume così nuovi contorni, nuovi percorsi, nuovi pericoli. Quando la nostra prospettiva viene radicalmente sconvolta ci è difficile riconoscere anche gli oggetti più familiari.

Resta la consapevolezza della difficoltà espressiva, qualche rimorso, tanti rimpianti, saluti da distribuire discretamente, una scorta di buoni auguri, scarpe impolverate e ancora tanta voglia di andare avanti.

giovedì 18 dicembre 2008

Un cappello demodè

Ho visto il mio Uomo, il mio cane e il mio cazzo vagare desolati.
Calpestavano con fatica un mondo destinato a invecchiare troppo presto.

Ho comprato un cappello demodè,
di velluto e sangue e carne e stoffa.

mercoledì 25 aprile 2007

Peli di cazzo (reprise).

Sei arrivato alla stazione della Metropolitana di Anagnina, dopo i 40 minuti di metro sbatacchiato da una masse informe di persone sudate viscide e maleodoranti, dopo aver lottato per salire sulla metro, dopo un'ora di treno in piedi, nel corridoio di passaggio di un vagone, interrotto continuamente da nomadi viaggiatori che chiedendo permesso vagano su e giù per il treno nella vana speranza di trovare un posto a sedere.
Sei sceso dalla metropolitana e anche oggi la vescica ti scoppia. Pare che tu debba fartela sotto, non ti sembra possibile trattenerla. Correndo arrivi al bar, senza dire una parola entri nel bagno e di corsa spalanchi la porta interna...

...quando una puzza tremebonda t'avvolge, come a volerti togliere per sempre il fiato.

Guardi in basso, e pare che tutti gli elefanti diarroici di Moira Orfei abbiano deciso di cagare in quel cesso proprio quella mattina. E pur essendo elefanti ammaestrati, pare che nessuno gli abbia insegnato a tirare l'acqua.
Ma non puoi fare niente, la vescica impera e tu devi obbedire.
Te lo tiri fuori e urini. Non sai dove guardare, e lo sguardo cade nella voragine che il tuo piscio scava nella più grande smerdata che la mente umana può concepire.

Esci dal bagno.
Ti chini quasi a novanti gradi. Un singolo conato e vomiti quel poco che avevi nello stomaco.
Lì, nel salone, davanti a tutti.


Ti pulisci le labbra con il dorso della mano.
Ti sistemi i pantaloni.

Esci dal bar, senza guardare in faccia nessuno.
Quel sapore schifoso persiste nella bocca. Per non parlare dell'odore. Sembra che perfino il tuo cervello puzzi.

Sali le scale, guardi l'elemosinante.
Ti ci siedi accanto e aspetti.

mercoledì 7 febbraio 2007

(senza titolo)

Di incubi ne ho già avuti molti, sai.
Mi piace ricordare quella sensazione
di quando tocchi il fondo.
Ne esistono molte, non sono tutte uguali.
La mia preferita è
quando il tempo non ha più senso
uguale, scorre, giorno, giorno, notte,
e non sai ricordare quando iniziò.
Così anche lo spazio perde realtà
e sembra di essere da sempre nello stesso posto,
come in prigione.



Ma questo era tanto tempo fa.
- Un'altra vita -

Non temere, non ti racconterò storie terribili
non ne ho mai avute.

Ricordo anche,
quando i miei occhi non fissavano un punto
la mia testa non teneva un pensiero
e perfino il silenzio era un rumore,
nel momento in cui stavo provando a farmi una domanda,
allora, mi si avvicinava una voce,
dolce e tranquillizzante mi diceva:
"Prova a uscire. Esci. Niente ti tiene qui."
Cerco di guardarle il volto, ma non riesco a vederlo.
Non ci riesco mai.
Ricordo le sue mani, piccole, bianche, fredde.
Ne sento la mancanza.
Forse neanche lei sa vedermi ora
nella mia divisa d'ordinanza.

Subisco il gelido fascino in tutte le sue forme;
quella voce, quelle mani, non torneranno più.

mercoledì 22 marzo 2006

Peli di cazzo

Stai lì, in piedi, con il pene tra le mani, stai urinando già da qualche minuto e vaghi con lo sguardo, avanti, in alto, di nuovo avanti.
Le ultime gocce. Te lo sgrulli, con fermezza, quando la tua attenzione viene carpita da un dettaglio: un pelo, nero, arricciato.
Ti fermi a osservarlo. E' proprio un pelo. Un pelo di un cazzo. E non è il tuo. Un pelo di un cazzo di uno sconosciuto.

Ora è tutto chiaro.
Stai al cesso del bar della stazione della metropolitana Anagnina. Sono le otto meno dieci e sei già in ritardo. Puzzi come un cane morto nonostante ti sia lavato un paio d'ore prima. Hai una cartella a tracollo. Fino a qualche minuto fa la tua vescica stava scoppiando.

Sei stato 40 minuti in metropolitana, in piedi, sbatacchiato di qua e di là da una massa informe di persone.

Hai corso per prendere la metro, e l'hai persa. Hai aspettato il convoglio successivo, ma era pieno. Troppo pieno. Quando si sono aperte le porte, i vagoni hanno rigurgidato persone, ma non è bastato. Hai aspettato un altro convoglio ancora. Era pieno anche questo, ma non potevi esitare. Sei entrato, in qualche modo.

Prima ancora, sei stato un'ora su un interregionale. Non c'era posto a sedere, sei rimasto nella cabina d'ingresso, poggiato al palo centrale.
C'erano altre 10 persone, quasi tutte taciturne, ovviamente. Due ragazze stranamente avevano voglia di chiacchierare. Hai ascoltato i loro discorsi insulsi.

Ti sei alzato che era ancora buio.
Ti sei svegliato stanco.

Tutto questo,
per vedere
un pelo
di cazzo
di uno sconosciuto.

Ti chini quasi a novanta gradi. Un singolo conato e vomiti quel poco che avevi nello stomaco.

Ti pulisci le labbra con il dorso della mano.
Ti sistemi i pantaloni.

Esci dal cesso, poi dal bar, senza guardare in faccia nessuno.
Quel sapore schifoso persiste nella bocca.

Sali le scale, eviti di guardare l'elemosinante.

Arrivi alla fermata del bus e aspetti.

mercoledì 11 gennaio 2006

(Quando è finita...)

Quando è finita si rischia di smarrirsi guardandosi intorno. La prospettiva è sconvolta, nuovi dettagli competono tra loro per assicurarsi un posto di rilievo, come quella foto capovolta che cerca di primeggiare su quel biglietto del treno di anni fa, mentre i punti focali di un tempo appaiono ora quasi insignificanti, o forse sembrano vecchie rovine di città distrutte da millenni la cui grazia antica semplicemente non esiste più, assumendo contorni mai appartenutegli, e che, senza volerlo, diventano un monito, contraddicendo l'essenza stessa di quella vita, ora assente, ma che ancora le abita.

Conservo ancora un prezioso ammonimento, appreso, acquisito, casualmente, come si addice alla saggezza.
"Prima di amare, impara a camminare sulla neve senza lasciare tracce".
Dopo anni, avrò il diritto di chiedermi, tu, neve, quando imparerai ad essere calpestata senza rivelare a nessuno il cammino?

Intorno a me, tutto è ricoperto da densa polvere scura, avvolto in costante penombra, imprigionato in una atmosfera di lento jazz d'ottone.

Quando è finita, sembra impossibile poter piangere.
Come possano i sentimenti in eccesso annichilirsi tra di loro resta per me un mistero.
Non sempre i primi raggi di sole arrivano all'alba.


Quando è finita si rischia di smarrirsi.

sabato 10 dicembre 2005

Qualcosa da dire...

Potrei raccogliere ancora una volta la mia rabbia cieca e infantile, fare appello allo sdegno per l'ennesima ingiustizia che non so accettare, potrei scagliarmi contro l'uso disinvolto che si fa delle parole "fremito" e "sussulto" per rendere poetiche delle pagine che non hanno quasi nulla da raccontare e quel poco che c'è lo dicono anche male, uccidendo la poesia che forse è l'unica arma rimastaci, rimastami, per combattere.

Potrei.


Dovrei fare appello ad un immaginario innocente, proiettare i miei desideri su figure reali, inseguire fino all'orlo di un burrone il sorriso che nasce quando ti vedo nitida nella mia mente.


Vorrei avere una voce dolce e leggera, un canto soave in grado di far viaggiare su pianure e alture.


Quel che non so fare è prendere lo sgomento che m'assale quando attendo e guardo mille e mille gocce di pioggia scivolare sul parabrezza mentre la mente m'abbandona, torna indietro quando ancora sapevo padroneggiare parole d'amore, mi riscopro immutato vecchio adolescente schiavo e schiavo e schiavo, prenderlo e chiuderlo in una sfera di vetro, di quelle che quando le giri casca una neve lenta, fredda, finta e triste.

Non chiedermi perchè non parli, che vorrei solo urlare, domandarti dimmi cosa è successo in questi dieci anni, dimmi cosa è successo, dimmi che è successa almeno una cosa in questi dieci anni, dimmi che non ci siamo smarriti in un sogno dolce tanto da svegliarci madidi di sudore.

Solo un incubo maledetto, dentro e fuori.


Dovrei fare appello al mio buon senso per non subire una crisi di nervi.


Vorrei avere una voce profonda e cavernosa per lamentarmi finche la luna stessa scenda giù a consolarmi.


Potrei scagliarmi lancia in testa contro l'uso smodato delle parole fremiti e sussurri…

Hai mai sussultato?

Hai mai fremuto?

Io sì, milioni di volte, di giorno, di notte, da non saperne parlare ancora.

Da non saperne parlare più.



Ho ucciso la mia voce bevendo calici troppo amari.

Ho tante cose da dire, ma non lo so fare più.

domenica 25 settembre 2005

(Remixata)

Sono il lento sgocciolare costante assillante snervante straripante alienante molestante detestante  che durante la notte non ti lascia in pace un istante e nonostante ti sforzi a non sentirlo ti porta l’eco di un dolore distante, di un sentimento vagante, di un amore morente, memorie violente che prosaicamente non significherebbero niente se non esistesse questo rubinetto perdente che goccia goccia goccia e…

Sono il dettaglio che non quadra, il conto che non torna, il buco senza la ciambella intorno.
La domanda sbagliata.

Sono l’ineluttabilità, sono la profonda tristezza di un bambino rinchiuso nel paese dei balocchi senza avere nessuno con cui giocare.

Sono la santa menzogna che ti dice, è solo un attimo, passerà.

sabato 12 marzo 2005

Sulla bilancia di oggi

S'attenua
un timido azzurro lascia posto a un grigio e roseo avvenire
è il finire di un giorno
che passa veloce
e non resta niente
mai niente.

Prende fuoco il foglio che mi accoglie
tratti di inchiostro ricordano il mio passato
e non sanno raccontare il mio futuro.

Scalfitte isolate parole
tornano,
memoria priva di storia.
Senza peso
senza traccia
solo silicea luce riflessa
un barbaglio infinitesimale
e poi buio.

domenica 16 gennaio 2005

Una risposta

mentre il mondo cade
un'ultima nota
il rintocco di una campana d'infanzia
e per ultimo odore
ciambelline al vino calde
e un sorriso tra le rughe
e poi
.