domenica 12 marzo 2017

Auricolari



Non risale che a pochi anni fa il mio rapporto con gli auricolari. Fu per la metropolitana. Eppure, volume al massimo, lo stridore dell'acciaio, il vociare della massa indistinta e i monòtoni annunci degli altoparlanti riuscivano a penetrare inesorabili: non puoi estraniarti dalla routine estraniante, primo comandamento delle grandi città.
Li indosso ancora, e spesso, ora che sono tornato nella mia provincia, prevedibile e rassicurante come una vacca pezzata che pascola in un prato verde alle spalle del polo chimico.
Cammino e penso frasi geniali, modestamente, che puntualmente dimentico non appena rincaso, giusto per accrescere la sterminata raccolta degli incipit del romanzo dell'oblio.

"Ma insomma, parlami di te."

"Ciao occhi chiari e naso sgraziato. Sono un naufrago della vita: se ho una storia non la so raccontare e il mio unico progetto è scoprire dove andrà a infrangersi la prossima onda. Sette anni fa consegnavo pizze a domicilio e il mostro marino dai mille tentacoli non dava mai la mancia. Lo facevo giusto due ore alla sera: di giorno scrivevo i canti per le sirene ma non ero retribuito. Ricordi l'affondamento della petroliera? Neanche questo fa parte della mia storia: erano i patti. Gli anni seguenti ho galleggiato, poi è giunta la confusione. E questo è quanto e mi dispiace non ho tempo: ho molte cose da lasciare incompiute ancora."

Rimetto gli auricolari e mi concentro sulle macchie di nicotina sulle mie dita: il mercato di contrabbando del tabacco in alto mare è ancora florido, c'è una leggera brezza, il sole tramonta ancora presto, la vacca pezzata fa letture interessanti ma non le comprende fino in fondo.

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